Quadreria

  • Antonio Gualdi, Auroritratto con...

LA QUADRERIA DELLA BIBLIOTECA MALDOTTI DI GUASTALLA:
APPUNTI PER UNA STORIA DELLA COLLEZIONE

Ivan Cantoni

Quando muore, il 15 agosto del 1801, l’abate Marcantonio Maldotti ha già disposto la donazione dei suoi 5000 volumi alla comunità di Guastalla, per l’istituzione di una biblioteca pubblica: il lascito non comprende opere d’arte. Nella rosa ampia e variegata dei suoi studi le arti figurative non hanno mai occupato un posto di primo piano: egli è quello che, ancora all’inizio del XIX secolo, si può definire un “filosofo” con interessi nell’ambito della matematica e delle scienze naturali. Soltanto un certo gusto per la poesia gli offre l’occasione di esprimere il lato estetico e creativo della sua personalità di studioso serio e morigerato.
Il primo dipinto entra in biblioteca nel 1812, dieci anni dopo la sua fondazione ufficiale, e rappresenta il portato occasionale di una grossa acquisizione di libri: l’8 agosto la congregazione maldottiana compra all’asta l’intero patrimonio librario del soppresso convento dei Servi di Maria. Centinaia di volumi, un solo quadro. Si tratta di un bel ritratto ovale, di inizio ‘700, del padre Gherli, raffigurato nel proprio ambiente naturale: una biblioteca. Sullo sfondo i titoli di alcune opere sono chiaramente leggibili a seguito di un evidente accordo fra il committente e il pittore.
Il secondo dipinto arriva nel 1819: è un ritratto di Cesare I Gonzaga (secondo signore di Guastalla), anch’esso proveniente dall’ex convento dei padri serviti. Lo dona un privato. Una serie di iscrizioni sul telaio forniscono informazioni (la cui attendibilità è da verificare) sull’opera: sebbene abbia un’aria tardo cinquecentesca, il quadro è datato 1690 e porta anche il nome di un autore: don Lorenzo Scutellari. La qualità in questo caso è modesta e la suggestione dell’immagine debole.
Negli anni ’20 dell’Ottocento si susseguono una serie di donazioni di ritratti piuttosto scadenti sul piano della qualità pittorica, ma interessanti quali testimonianze di storia locale. La biblioteca possiede ancora soltanto effigi ufficiali dei Gonzaga, di illustri letterati o ecclesiastici guastallesi e le conserva come documenti, come frammenti di memoria da consegnare alle generazioni future. Questa situazione resta immutata sino alla metà del secolo.
Nel 1849 l’arrivo in Maldotti di un raffinatissimo ritratto del bibliotecario Luigi Coppi inaugura l’ingresso di una serie di dipinti della prima metà del XIX secolo (opere recenti per quegli anni), di ottimo livello. Vanno ricordati in particolare il ritratto di Francesco Manfredi, di Antonio Gualdi e la grande tela della Trasfigurazione, donata dal suo autore Pietro Rossi, pittore Guastallese di formazione purista, allievo diretto di Alfonso Chierici. La lunga sequenza di ritratti viene finalmente interrotta da un’opera di soggetto sacro le cui dimensioni fanno pensare fosse in origine destinata ad un altare.
Risale al 1889 un lascito che cambierà radicalmente la natura e l’importanza della raccolta d’arte della Biblioteca Maldotti. Con un testamento olografo datato 8 marzo 1888 il sacerdote guastallese don Luigi Antonelli (Mansionario in Cattedrale dal 1864, da poco nominato Canonico e insegnante in seminario), all’età di 61 anni, lascia alla biblioteca 749 libri e un gruppo di dipinti da scegliersi fra i pezzi migliori della sua collezione personale. Muore il 5 gennaio del 1889. Viene chiamato a selezionare le opere da trasferire alla Maldotti il pittore Pietro Rossi, che ne individua 15 , fra le quali alcuni capolavori: Arria pronuncia le parole “Paete, non dolet!” di Luca Ferrari (1640 c.); Lot invita gli angeli ad entrare in casa, di Marcantonio Franceschini e aiuti (seconda metà del XVII sec.); San Luca dipinge la Madonna col Bambino, attribuito a Francesco Stringa (seconda metà del XVII sec.); Santa Caterina d’Alessandria di Giuseppe Bazzani (1745 c.); Madonna col Bambino, pastello di Angelo Crescimbeni (metà del XVIII secolo). (Le notizie relative a don Luigi Antonelli sono tratte da uno studio ancora inedito sui sacerdoti di Guastalla che mi è stato possibile consultare grazie alla disponibilità dei suoi autori: don Austusto Gambarelli e il dott. Milo Spaggiari).
Alla fine del secolo il flusso di donazioni è divenuto ormai costante: libri, dipinti e opere su carta entrano in continuazione e sono riportati con regolarità sui registri oggi conservati nell’archivio. Insieme a diversi materiali di scarso interesse vengono acquisite in questo periodo due tele di Antonio Gualdi, caratterizzate dall’abituale qualità pittorica del raffinato artista guastallese: Ritratto del canonico Vincenzo Corradi e Il pellegrino (1846).
La prima metà del ‘900 è segnata da un grosso lascito dovuto a Rufo Paralupi, il quale, insieme al proprio archivio, dona una gran varietà di oggetti, fra cui un paio dipinti piuttosto interessanti: una piccola tavola dall’aria trecentesca, tutta da studiare; un paesaggio alpino molto ben dipinto (1910 circa) di Ugo o Augusto Gheduzzi, pittori originari di Crespellano bolognese, attivi nell’ultima parte della loro carriera a Torino. È del 1940 l’ingresso di una tela di scuola tedesca del tardo Cinquecento (Cristo davanti a Pilato) dovuto al lascito di un privato, che probabilmente l’ha acquisita sul mercato antiquario. Presumibilmente nel secondo dopoguerra vengono acquisiti due importanti ritratti di Marino Mazzacurati, dipinti nei primi anni ’30. Due guastallesi illustri ne sono i soggetti: Rufo Paralupi e l’avvocato Aldo Mossina, entrambi raffigurati di fronte agli scaffali delle loro librerie private. Dall’effige del padre Gherli, risalente alla fine del ‘600, sino a queste immagini dell’epoca fascista è possibile individuare nella quadreria un ricco filone rappresentato dalle immagini di studiosi in compagnia dei loro libri come strumenti di lavoro, di devozione, oggetti di passione e di collezionismo.
La seconda metà del XX secolo porta in biblioteca il lascito Bisini che, unendosi all’eredità Antonelli, va a costituire il più importante nucleo di opere pittoriche della quadreria maldottiana. Attilio Bisini è un ingegnere (nato a Guastalla nel 1901), socio di una azienda specializzata in costruzione e manutenzione di infrastrutture edili e stradali. Nel 1982 egli abita a Milano, è da tempo in pensione e decide di fare testamento. Lascia i propri immobili e le azioni alla Casa di Riposo Paralupi di Guastalla, tutti i quadri e i mobili contenuti nelle sue case di Milano, Livorno e Guastalla vanno invece alla Biblioteca Maldotti. Muore il 6 novembre 1988 e i suoi beni vengono acquisiti dalla biblioteca l’anno successivo. In un contesto di opere scelte con cura da un collezionista esperto (o ben consigliato nei suoi acquisti) spiccano alcuni pezzi di particolare pregio: innanzitutto una bellissima tavola di Giulio Cesare Procaccini (Bologna, 1574 – Milano, 1625) raffigurante San Giuseppe con il Bambino Gesù; una scena di cucina all’aperto dell’ambito dei Bassano, di inizio Seicento; una copia antica (di alta qualità esecutiva, molto vicina all’originale) del dipinto di Guido Reni, conservato alla National Gallery di Londra, Lot e le figlie mentre lasciano Sodoma; una copia, anch’essa antica e di ottima mano, del San Pietro piangente di Guercino, appartenente alle collezioni di Palazzo Venezia a Roma; quattro grandi tele settecentesche del pittore veronese Giorgio Anselmi, che rappresentano scene dell’Eneide; due opere di Antonio Gualdi (un ritratto femminile e una Morte di Atala, soggetto romantico per eccellenza tratto dal romanzo di Chateaubriand e reso celebre nel 1808 dalla tela di Anne-Louis Girodet-Trioson, oggi al Louvre).
Qualche anno prima, nel 1981, da una residenza di Luzzara (villa Maso Paralupi), giunge una donazione ancora oggi oggetto di particolare interesse da parte degli storici della moda: otto tele di fine ‘600, o inizio ‘700, presentano altrettante dame, in dimensioni naturali. I volti poco caratterizzati e l’attenzione posta nella raffigurazione degli abiti, delle calzature, degli accessori, dei gioielli, testimoniano che il vero soggetto dei dipinti non sono le signore, ma il loro abbigliamento.
L’ultimo consistente corpus di opere pervenute alla biblioteca è rappresentato dal fondo Iori (1990) costituito da più di duecento fra dipinti e multipli di autori del Novecento. Vi prevalgono pittori naïf (Rovesti, Ghizzardi, …) e grafiche di artisti, anche importanti, del secolo scorso (Brindisi, Tozzi, Tamburi, Cassinari, …).
Di un significativo gruppo di opere non si conosce la provenienza. Registri delle donazioni e inventari non danno conto dell’intero patrimonio presente nelle sale di via Garibaldi, così come alcune opere citate nei documenti antichi non sono più identificabili e quindi risultano mancanti. Il lavoro completo di documentazione fotografica e di registrazione in inventario svolto negli ultimi anni dal personale della
biblioteca, in stretta collaborazione con la Soprintendenza, chiarisce e documenta in modo definitivo la situazione attuale; offre inoltre un prezioso strumento di ricerca agli studiosi: questa breve ricostruzione parte dall’analisi dell’ultima versione, la 76°, dell’inventario, costantemente arricchito e aggiornato dalla bibliotecaria dott.ssa Alice Setti, la cui collaborazione è stata indispensabile per l’individuazione dei materiali archivistici su cui essa si basa.

 

SCHEDATURE DEI DIPINTI

Marcantonio Franceschini e aiuti, Lot invita gli angeli a entrare in casa, olio su tela, databile fra il 1678 e il 1680, cm 150×196

Il dipinto entra in Biblioteca Maldotti con il lascito di don Luigi Antonelli nel 1889(1). Marcantonio Franceschini (1648-1729) vive e opera a Bologna, dove è strettamente legato all’ambiente dell’Accademia Clementina, di cui è uno dei fondatori(2). Giampietro Zanotti nella sua Storia dell’Accademia Clementina cita una coppia di dipinti di Franceschini raffiguranti «Lott, che introduce gli Angeli in casa sua, e quando viene ubriacato dalle figliuole»(3). Le tele furono realizzate per un membro (di cui non viene riportato il nome proprio) della famiglia bolognese dei Salaroli. Il pittore era da poco rientrato in città dopo un periodo trascorso a Parma (nel 1678) dove aveva lavorato agli affreschi di Palazzo Giardino come collaboratore del suo maestro Carlo Cignani. A quella impresa decorativa collaborava anche Luigi Quaini, cugino di Cignani e cognato di Franceschini (che ne aveva sposato nel 1673 la sorella) (4). Il Quaini negli anni successivi diventerà il principale collaboratore di Marcantonio e la sua mano, secondo quanto scrive lo Zanotti, è presente in pressoché tutte le opere, di cui eseguiva i paesaggi di sfondo e «altre sì fatte cose, che servono alle figure»(5). Oggi questi due dipinti si trovano nello collezioni d’arte del CREDEM, in palazzo Spalletti a Reggio Emilia(6). Di una seconda versione del Lot con gli angeli Zanotti non parla: come interpretare dunque il dipinto della Biblioteca Maldotti? Don Luigi Antonelli non era un collezionista né un intenditore di pittura antica. Nel momento in cui redige il testamento (datato 1888) con cui dona alla Maldotti i dipinti che si trovano in casa sua, incarica Pietro Rossi (un artista Guastallese allora piuttosto noto) di selezionare le opere migliori da introdurre nel lascito. Un conoscitore che ha curato personalmente l’acquisto dei pezzi della propria collezione non ha bisogno di rivolgersi a un esterno per scegliere le opere di maggior pregio. A ulteriore conferma della modesta cultura artistica di don Antonelli ci viene l’elenco dei libri della sua biblioteca personale (anch’essi lasciati alla Maldotti): i suoi interessi si rivolgevano alla storia (soprattutto antica) e alla letteratura. Non ci sono opere che abbiano a che fare con l’arte fra i suoi libri(7). Da un albero genealogico manoscritto(8) si apprende che gli Antonelli, sono un’antica famiglia Guastallese le cui prime notizie riguardano Giovanni Antonelli coniugato con Lucia Aldrovandi, padre di due figli: Giuseppe (nato nel 1559) e Antonio (coniugatosi nel 1581). Il cognome Aldrovandi evoca la prestigiosa famiglia bolognese i cui esponenti più noti sono il naturalista Ulisse e il Cardinale Pompeo. È quindi probabile che i quadri a don Luigi siano giunti in eredità dopo essere passati di padre in figlio per diverse generazioni. Il dipinto di casa Solaroli e quello degli Antonelli sono estremamente simili per qualità e per modalità di esecuzione nelle figure, presentano invece significative differenze nei panneggi e nelle ali. Sia gli angeli, sia Lot sono condotti con la maniera morbida e “tonda” tipica degli anni giovanili di Franceschini in cui l’influenza del Cignani è ancora forte. D’altra parte egli nel 1678 collaborava ancora col proprio maestro, mentre eseguiva commissioni autonome. Risulta utile il confronto con un’altra coppia eseguita nel 1680: Estasi di Santa Maria Maddalena (oggi a Bergamo nella Collezione Francesco Molinari Pradelli) e Santa Maria Egiziaca comunicata dall’abate Zosimo (New York, Metropolitan Museum) (9). Tenute in debito conto le dimensioni sensibilmente inferiori e il supporto differente (una lastra di rame anziché la tela) le analogie dei volti e delle capigliature degli angeli sono evidenti in rapporto tanto alla versione Solaroli, quanto a quella Antonelli. Il colore (chiaro e caldo) e il piumaggio morbido delle ali invece
si avvicinano al dipinto del CREDEM e si discostano da quello della Maldotti, in cui le ali hanno una tinta più scura e le piume sono più evidenti a causa di un chiaroscuro maggiormente contrastato. Venendo a un confronto fra le due versioni del Lot notiamo che le principali discordanze, oltre alle ali, riguardano gli abiti degli angeli (specialmente quello in primo piano a sinistra). Nel dipinto Antonelli i panneggi hanno un disegno più stropicciato, con pieghe maggiormente involute ed evidenti. Si tratta di una tipologia simile al drappo che avvolge la Flora di Carlo Cignani alla Galleria Estense di Modena (dipinta intorno al 1680). Un dipinto ricco di analogie con il Lot della Biblioteca Maldotti è un Ratto d’Europa andato in asta il 12 ottobre 2011 presso la casa Dorotheum10. Anch’esso viene datato fra il 1678 e il 1679. La figura femminile inginocchiata a sinistra veste un panneggio dovuto alla stessa mano che ha dipinto gli abiti dell’angelo in primo piano a sinistra di cui ripete il volto, con una lieve variante dell’inclinazione. Le tinte piuttosto scure e a dominante fredda (grigio-blu) del Ratto d’Europa lo accomunano al Lot appartenuto a don Antonelli, il cui tono è in genere meno caldo e avvolgente rispetto al suo prototipo proveniente da casa Salaroli. In sintesi le due versioni del Lot che invita gli angeli a entrare in casa si somigliano molto nelle figure, ma si discostano nei panneggi e nelle ali. I panneggi del Lot della Maldotti richiamano da vicino alcuni esempi di Cignani e altri dipinti minori del Franceschini. Se ne può dedurre che nella versione prima e originaria Marcantonio ha eseguito sia le figure, sia i panneggi (almeno in misura prevalente), mentre nella replica conservata alla Biblioteca Maldotti ha affidato i panneggi e le ali degli angeli a un collaboratore che condivideva con Cignani: con molta probabilità si tratta di Luigi Quaini il quale, fra il 1678 e il 1680, lavorava sia con Franceschini che col suo maestro. Il quadro conservato da don Luigi Antonelli è pertanto una replica di quello eseguito per Solaroli, con un maggiore intervento del Quaini nelle parti non di figura; il resto risulta invece di mano diretta del maestro. Il soggetto del dipinto è tratto dal capitolo 19 della Genesi (vv. 1-4) in cui Lot invita a mangiare e dormire presso la sua casa due angeli che arrivano nella città di Sodoma verso sera, mandati dal Signore per distruggerla.

Ivan Cantoni

NOTE

1 La vicenda del lascito Antonelli è ricostruita in I.Cantoni, La quadreria della Biblioteca Maldotti di Guastalla: origini e storia, saggio di prossima pubblicazione in una raccolta di studi a celebrazione bicentenario della Biblioteca.

2 Per una monografia aggiornata su Marcantonio Franceschini: Dwight Miller, Marcantonio Franceschini, Torino, Artema, 2001.

3 Giampietro Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina di Bologna, vol. I, Bologna, Lelio della Volpe, 1739, p. 223.

4 Cfr ivi, pp. 222.

5 Ivi, p. 227.

6 Sui due quadri della collazione CREDEM: Arte emiliana dalle raccolte storiche al nuovo collezionismo, a cura di Graziano Manni, Emilio Negro, Massimo Pirondini, Modena Artioli Editore (per conto della Banca Popolare dell’Emilia), 1989, pp. 133-135; Le collezioni d’arte CREDEM, a cura di Odette d’Albo, Reggio Emilia, CREDEM Banca, 2016, p. 30.

7 Gli elenchi dei libri donati da don Luigi Antonelli e dei dipinti selezionati da Pietro Rossi si trovano presso l’archivio della Biblioteca Maldotti e sono contenuti nella busta “Archivio Biblioteca Maldotti, 1, Donazioni” facente parte di un gruppo di buste create negli anni ’80 del Novecento, estraendo materiali dalle 10 buste numerate che costituiscono il nucleo originario del Fondo Maldotti (Alice Setti, Il Fondo Maldotti della Biblioteca Maldotti di Guastalla. Elenco di consistenza parziale: bb. 1-10, (1741-1934), Guastalla, Biblioteca Maldotti, fascicolo per uso interno).

8 Il documento è conservato presso l’archivio della Biblioteca Maldotti, non riporta il nome di chi lo ha redatto, né una data. Ha l’aspetto di un appunto informale. Potrebbe essere di mano dello stesso Antonelli; il suo ingresso coinciderebbe allora con l’acquisizione del materiale librario e dei quadri.

9 Capolavori della collezione Francesco Molinari Pradelli, catalogo della mostra, a cura di Simone Facchinetti, Angelo Mazza, Angelo Piazzoli, Bergamo, Fondazione Credito Bergamasco, 2014, cfr pp.48-51. 10 La fotografia e la scheda del dipinto sono consultabili sul sito della casa d’aste: https://www.dorotheum.com/it/apropositodi/stampa/news/archive/arte-imperiale-11-13-ottobre-2011-settimanadelle-aste-con-dipinti-antichi-e-del-xix-secolo-an.html

 

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Ambito di Pier Francesco Cittadini o di Benedetto Gennari, Dame di Villa Paralupi, (serie di otto dipinti raffiguranti figure femminili in costumi dell’epoca), oli su tela, 1675-1690 circa, cm 190×100 ciascuno

Gli otto dipinti vengono donati alla Biblioteca Maldotti nel 1981 da Maria Ferrari (1), vedova di Valente Paralupi, un ingegnere civile che fece parte negli anni trenta della direzione generale dell’ANAS e fu attivista, nel dopoguerra, del Partito Liberale (nel 1963 si presentò come candidato alle elezioni per la Camera dei Deputati). Pur svolgendo la propria attività politica a Guastalla, risiedeva a Luzzara, presso Villa Paralupi al Maso, una delle più importanti residenze di origine gonzaghesca della bassa reggiana (2). Morì lo stesso anno nel quale tentò di entrare in parlamento, lasciando i propri beni alla moglie, che donò successivamente la casa alla cattedrale di Guastalla (3). I Paralupi vennero in possesso della villa e dei terreni nel 1772, ereditandoli da don Giovanni Battista Spinelli, ultimo esponente della sua famiglia, che era proprietaria del Maso dal 1632. Il corpo più antico fu costruito nel XVI secolo dai Gonzaga di Luzzara per essere impiegato come palazzina di caccia (4). Non è chiaro se le otto tele siano legate alla famiglia Paralupi o alla casa. La loro datazione approssimativa, le ascrive al periodo in cui l’edificio era in possesso degli Spinelli, ma le due famiglie erano imparentate e i fratelli Bartolomeo, Francesco, Anna Paralupi potrebbero averle ricevute dallo zio sacerdote insieme alla proprietà. Sul piano iconografico le tele vennero studiate in modo approfondito da Doretta Davanzo Poli nel 1989, quando furono esposte a Perugia nel contesto della mostra In viaggio con Penelope. Nel saggio inserito in catalogo (5) la Davanzo Poli le pone in relazione con le incisioni pubblicate entro la rivista “Le Mercure de France”, stampata a Parigi a partire dal 1672 e ricomparsa nel 1677 con il titolo “Le Mercure Galant”. La loro derivazione da incisioni di moda è stata confermata e rafforzata dall’individuazione, quali fonti dirette delle dame F, G e H (6), di tre stampe di Nicolas Arnoult, incisore e editore parigino le cui opere vengono eseguite fra il 1680 e il 1720 (7). Doretta Davanzo poli ha reso note al personale della Biblioteca Maldotti, all’assessore Gloria Negri e al sottoscritto queste informazioni nel mese di giugno 2017, in occasione di una visita a Guastalla, nel corso della quale ha riesaminato i dipinti e ha acquisito nuovi elementi per riprenderne lo studio. L’occasione viene offerta dalla preparazione di un evento espositivo, presso il Palazzo Ducale, che avrà come oggetto la moda a Guastalla nei secoli XVII e XVIII. Da un punto di vista stilistico e strettamente pittorico le otto dame appaiono collegate a due grandi filoni della ritrattistica emiliana del Seicento: quello di matrice guercinesca, che fa riferimento alla famiglia dei Gennari (Benedetto e Cesare in particolare) e quello con radici lombarde (non senza riferimenti al mondo nordeuropeo) che fa capo alla figura di Pierfrancesco Cittadini (originario di Milano e formatosi successivamente alla scuola di Guido Reni). Ambedue le botteghe sono attive a Bologna nella seconda metà del secolo (8). L’autore delle dame ci suggerisce simili riferimenti culturali soprattutto per l’attenzione e la perizia con cui si dedica alla resa dei tessuti e dei gioielli, elementi presenti sia nel lavoro dei Gennari, sia in Cittadini e dietro i quali si può individuare un riferimento comune al realismo di Carlo Ceresa. Una maggiore vicinanza all’ambito di Pierfrancesco Cittadini viene indicata dalla scelta delle pose e degli atteggiamenti, in quanto anche nell’abbondante ritrattistica prodotta dalla bottega di questo artista sono frequenti le assonanze con le incisioni francesi del “Mercure” e di Arnault; c’è inoltre nella relativa rigidità del disegno e nella “distanza” del soggetto dall’osservatore, con tentativi di aulicità (qualche base di colonna e tendaggio negli
sfondi), una familiarità con il gusto nordeuropeo che potrebbe derivare sia dall’ambiente di Cittadini – che con i pittori olandesi e delle fiandre viene a stretto contatto durante il periodo trascorso a Roma -, sia dallo stile “inglese” riportato a Bologna da Benedetto Gennari dopo il suo rientro (nel 1692) dal periodo trascorso al servizio Giacomo II. Allo stile di Benedetto rinvia anche, sia pure in una interpretazione semplificata e di maniera, il disegno dei volti con le palpebre spesse, carnose, l’occhio largo, il naso lungo e diritto.   La qualità pittorica della serie di Villa Maso non è però all’altezza né di un maestro, né di un allievo o collaboratore di primo piano: ne sono testimoni le incertezze nel disegno tanto delle figure, quanto dei panneggi, l’impiego elementare dei chiaroscuri e la quasi totale mancanza di ambientazione. Solo una dama è collocata vicino ad un tavolo, sul quale si trova un vaso di fiori eseguito con mano incerta e con evidenti inesattezze prospettiche. Gli unici elementi eseguiti con maestria in ogni tela sono i tessuti con merletti, broccati, pizzi. Cittadini si specializzò, soprattutto dopo il 1650, nella natura morta e nel paesaggio, pur senza abbandonare la ritrattistica; la sua bottega bolognese divenne gradualmente una sorta di manifattura artigianale nella quale operava un nutrito gruppo di collaboratori, destinati a divenire seguaci e continuatori (9). Sappiamo che con Pier Francesco operava un fratello di nome Carlo e che tre dei suoi figli (Giovan Battista, Angelo Michele, Carlo Antonio) intrapresero il mestiere di pittori. Il più giovane, Carlo Antonio, morì nel 1744. Ebbe anche due nipoti nati nel 1713 e ’14, che operarono negli anni centrali del XVIII secolo (10). È quindi certa l’esistenza, non facilmente identificabile, di una ricca produzione riferibile al suo ambito. Anche la bottega dei Gennari era composta da numerosi collaboratori ognuno dei quali aveva una propria produzione personale nell’ambito della ritrattistica (11). Sappiamo inoltre con certezza che Cesare e Benedetto eseguirono nel 1666 quattro ritratti per i Gonzaga di Novellara. Due di questi appartengono oggi alla Pinacoteca Estense di Modena (Alfonso Gonzaga conte di Novellara e Ricciarda Cybo contessa di Novellara). Benedetto, molti anni dopo, eseguì numerosi dipinti per Vincenzo Gonzaga di Guastalla, presso la cui residenza fu ospitato per alcuni periodi dovendo eseguire il ritratto della figlia Isabella. La collaborazione con i Gonzaga di Guastalla dura dal 1696 ai primi anni del Settecento (12). Gli artisti bolognesi erano quindi attivi anche nella bassa padana, in territori geograficamente e politicamente vicinissimi a Luzzara. È inoltre probabile che le botteghe dei Gennari e dei Cittadini abbiano collaborato in alcune fasi della loro intensa attività (13). Si può ragionevolmente ritenere pertanto che l’autore delle dame sia un aiutante legato a una di queste botteghe. Sono gli abiti infatti i protagonisti delle otto tele e la rappresentazione di abiti non richiede un pittore di figura, ma un pittore di tessuti, più artigiano che artista, una delle tante figure anonime a cui i ritrattisti di primo piano affidavano parti minori delle loro tele, riservandosi l’esecuzione del volto, delle mani e di quanto più stava a cuore al committente.

Ivan Cantoni

 

NOTE

1 L’informazione è ricavata dalla 76a versione dell’Inventario dei beni della Maldotti, redatto negli ultimi anni dal personale della biblioteca in stretta collaborazione con la Soprintendenza.

2 Su Valente Paralupi cfr. Battista Magnani, I Paralupi. Antica famiglia guastallese, Guastalla, Rotaract Club di Guastalla, 1995, pp. 66-67; Sara Torresan, ricerca pubblicata sul sito del Comune di Mantova (http://www.comune.mantova.gov.it/index.php/component/content/article/365-i-giardini-dei-gonzaga/i-luoghigiardini-dei-gonzaga/1427-luzzara-villa-paralupi).

3 Cfr. Magnani, I Paralupi, pp. 17 e 67. Presso la Biblioteca Maldotti è conservato un fondo denomimato “Fondo Valente Paralupi” che contiene documenti dell’archivio di famiglia dalla prima metà del XIX secolo, sino alla morte di Valente nel 1963. Questi materiali sono in un primo tempo stati affidati al parroco di Luzzara don Alessio Ferrari, il quale li ha successivamente donati alla Biblioteca (cfr. ivi p.38 e il sito dell’IBC Emilia Romagna: http://archivi.ibc.regione.emilia-romagna.it/ibccms/cms.item?munu_str=0_1_0&numDoc=8&flagview=viewItemCaster&typeItem=2&itemRef=IT-ER-IBC-035024-002012). Il fondo contiene rogiti, contratti di affitto, successioni relativi ai beni di famiglia, insieme agli archivi professionali di alcuni esponenti. Ho personalmente passato in rassegna tutti i documenti senza individuare nulla che abbia direttamente a che fare con le otto dame. L’archivio attende però di essere esaminato in maniera più approfondita e sistematica.

4 Cfr. ivi pp. 12-14.

5 Doretta Davanzo Poli, Le Dame di Guastalla in In viaggio con Penelope. Percorsi di ricamo e volute di merletto dal XVI al XX secolo. Collezione Arnaldo Caprai, Milano-Perugia, Electa/Editori Umbri Associati, 1989, pp. 26-31. Su questa serie di dipinti si vedano inoltre: Clementina Agosta, Elisa Bertazzoni, Affascinante cronaca di moda su otto insoliti dipinti del ‘600, in «Quaderni Guastallesi», IV, 7 (1989), pp. 44-53; Battista Magnani, I Paralupi, pp. 46-48; Giancarlo Malacarne, Fruscianti vestimenti e scintillanti gioie. La moda a corte nell’età gonzaghesca, Verona, Linea Quattro Edizioni, 2012, pp. 385, 387, 391, 394, 396, 407, 452.

6 Doretta Davanzo Poli nel suo saggio del 1989 ordina i dipinti attribuendo a ciascuno una lettera da A a H. Da qui in avanti si utilizzerà lo stesso sistema di riferimento (Doretta Davanzo Poli, Le Dame di Guastalla in In viaggio con Penelope, pp. 25, 27, 29).

7 Cfr. sito della Bibliothèque Nationale de France (http://data.bnf.fr/14979004/nicolas_arnoult/). L’incisione “Dame de qualité en habit d’esté” (senza data) è fonte del dipinto F; l’incisione “Femme de qualité en habit d’esté” del 1687 (versione con ventaglio nella mano sinistra e figura sola) è la fonte del dipinto G;  l’incisione “Femme de qualté en habit d’esté” del 1687 (variante con bambino al seguito nella parte destra dell’immagine) è la fonte del dipinto H.

8 Sulla bottega e l’attività ritrattistica dei Gennari cfr: Giovanni Francesco Barbieri. Il Guercino, a cura di Sir Denis Mahon, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1991, pp.454-495; La scuola del Guercino, a cura di Emilio Negro, Massimo Pirondini, Nicosetta Roio,  Modena, Artioli Editore per Banco S. Geminiano e S. Prospero, 2004, pp. 135-246. Su Pierfrancesco Cittadini e la sua bottega cfr: Carlo Cesare Malvasia, Felsina pittrice. Vite de pittori bolognesi, Bologna, erede di Domenico Barbieri, 1678, II, p. 514; Luigi Crespi, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, Roma, Marco Pagliarini, 1769, pp. 126-128; AA. VV., L’arte degli Estensi. La pittura del Seicento e del Settecento a Modena e a Reggio, catalogo della mostra, Modena, Panini, 1986, pp. 200-203; Arte emiliana dalle raccolte storiche al nuovo collezionismo, a cura di Graziano Manni, Emilio Negro, Massimo Pirondini, Modena, Artioli Editore (per conto della Banca Popolare dell’Emilia), 1989, pp. 112-117; La Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Seicento, a cura di Lucia Fornari Schianchi, Parma, Franco Maria Ricci, 1999, pp. 128-132.

9 Cfr. Arte emiliana dalle raccolte storiche al nuovo collezionismo, a cura di Graziano Manni, Emilio Negro, Massimo Pirondini, p. 112.

10 Cfr. Luigi Crespi, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, p. 128.

11 Cfr. La scuola del Guercino, a cura di Emilio Negro, Massimo Pirondini, Nicosetta Roio, p. 213.

12 Cfr. Prisco Bagni, Benedetto Gennari e la bottega del Guercino, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1986, pp. 169-172 e 183-187; Giovanni Francesco Barbieri. Il Guercino, a cura di Sir Denis Mahon, pp. 484-487; La scuola del Guercino, a cura di Emilio Negro, Massimo Pirondini, Nicosetta Roio, pp. 208-211.

13 Cfr. AA. VV., La Pinacoteca di Cento, Bologna, Nuova Alfa Editoriale (per conto della Cassa di Risparmio di Cento), 1987, pp. 78, 82-83.

 

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Bottega di Giambattista o Gerolamo Bassano, Cristo in casa di Marta e Maria, primo ventennio del XVII secolo, olio su tela, cm 122,5×146,5

La Biblioteca Maldotti acquisisce il dipinto nel 1989 con il lascito di Attilio Bisini (1). Si tratta di una delle numerose versioni, presenti in musei e collezioni private, del Cristo in casa di Marta, Maria e Lazzaro di Jacopo e Francesco Bassano, conservato oggi presso la Sarah Campbell Blaffer Foundation di Houston. Originariamente appartenuto alle collezioni dei Gonzaga di Mantova, era conservato in Palazzo Ducale, nel corridoio di Santa Barbara. Fu probabilmente trafugato ed entrò sul mercato dell’arte nel 1630-31, insieme ad altre opere sottratte durante i saccheggi a cui la città fu sottoposta durante la guerra del Monferrato (2). L’esemplare di Houston porta la duplice firma di Jacopo e del figlio Francesco e viene datato intorno al 1577. Una replica firmata dal solo Francesco si trova alla Gemäldegalerie di Kassel, in Germania. Unici a portare una firma, questi quadri si possono considerare i prototipi di una ricca filiazione sparsa per il mondo (3). La sola differenza di rilievo fra le due composizioni è l’inclinazione del volto di Cristo: in quello più antico (di Jacopo e Francesco) è rivolto verso il basso, in quello del solo Francesco si rivolge verso l’alto. A Firenze ne sono conservate due derivazioni: una, agli Uffizi, viene dal quadro di Kassel; l’altra, di altissima qualità, appartiene alla Galleria d’Arte Antica di Palazzo Pitti, è molto affine al quadro di Houston e viene data da alcuni a Francesco, da altri a Gerolamo (il minore dei figli di Jacopo) (4). Ricordiamo anche gli esemplari della Royal Collection di Hampton Court, dell’Ermitage di San Pietroburgo, della Galleria Strossmayer di Zagabria (5). Rispetto a queste opere il dipinto della Biblioteca Maldotti presenta alcune evidenti varianti e aggiunte: in basso a destra il catino viene spostato sulla base del camino e una ciotola viene eliminata per fare spazio a un cane  accucciato; al centro due pezzi di legno, posati a terra, sono sostituiti da una fila di piatti in metallo; ai piedi dello sgabello compare un vassoio con pesci; sul tavolo scompaiono gli asciugamani (o tovaglie) piegati e cambiano gli oggetti sulla tovaglia; vengono aggiunte tre figure a destra di Marta, una delle quali è seduta a tavola, le altre le stanno alle spalle e sono molto in ombra; lo sfondo di paesaggio è completamente diverso: vi compaiono edifici e architetture classiche, con un colonnato e un tempio, anziché una donna che attinge acqua a un pozzo in un paesaggio collinare. L’autore del dipinto appartenuto a Bisini non si limita pertanto a realizzare una copia del quadro di Houston (a cui rimanda il volto reclinato del Cristo), ma opera secondo un processo tipico della bottega dei Bassano dall’ultima fase dell’attività di Jacopo in avanti (anni ’70 del ‘500). Jacopo e i suoi figli avevano approntato un vasto repertorio di mani, piedi, figure intere in varie pose, animali, frutti, paesaggi disegnati e colorati su sagome di carta che riutilizzavano e ricomponevano in innumerevoli variazioni (6). Le aggiunte introdotte nel dipinto che si sta analizzando sono infatti riconoscibili in altre composizioni bassanesche: il cane accucciato compare in Lazzaro e il ricco Epulone di Leandro (Madrid, Prado) (7); capovolto specularmente ne La fucina di Vulcano di Francesco (8); la figura femminile seduta a tavola si ritrova in una variante dello stesso soggetto presente presso la collezione della Banca Popolare di Vicenza (Jacopo e Leandro) (9), la si riconosce inoltre sul fondo delle Nozze di Cana presso il Museo Civico di Vicenza (Leandro) (10). Chi ha dipinto questa tela aveva pertanto a disposizione gli strumenti di una delle botteghe sorte dall’originaria di Francesco il Vecchio: quella sempre rimasta a Bassano in cui aveva operato Jacopo (il caposcuola) e, negli ultimi anni del ‘500 restava solo Giambattista (il figlio più giovane di quest’ultimo); quelle di Venezia, dove si trasferirono gli altri tre figli Francesco il Giovane (nei primi anni ’80), Leandro (nel 1588) e, da ultimo, Gerolamo nel 1595 (11). Si tratta di un’opera di bottega e piuttosto tarda in quanto il disegno, pur rimanendo fedelmente bassanesco e privo di errori, subisce una evidente semplificazione, dovuta non alla riduzione delle misure (la tela è lievemente più ampia dell’originale), ma all’impiego ormai routinario dei soliti disegni e modelli cartacei. Anche la pennellata è più distesa e sintetica rispetto a quella dei capiscuola, entra meno nella definizione dei particolari sia nei panneggi (nei quali scompaiono o si attenuano numerose pieghe), sia negli oggetti descritti in maniera piuttosto sommaria. Il tono generale è piuttosto scuro (anche tenendo conto degli annerimenti dovuti al tempo) e tende ad assorbire nell’ombra diverse aree del dipinto che nei prototipi più antichi sono chiaramente leggibili. Soprattutto mancano quelle lumeggiature, quelle vibrazioni di luce così tipiche della maniera di famiglia. Si notano invece i rossi pieni e corposi, quasi campiti, del manto di Cristo, della cuffia dell’uomo che taglia il salame e dell’abito indossato dalla figura femminile in primo piano. Emergono inoltre, pur senza forti contrasti, le stoffe bianche delle camicie e della tovaglia, il tutto immerso in un’atmosfera bruna, calda, troppo avvolgente per appartenere al gusto di Francesco o Leandro e già connotata in senso seicentesco. È ragionevole pensare quindi all’ultima fase delle botteghe di Gerolamo o Giambattista, i due figli di Iacopo meno dotati artisticamente, a cui il padre aveva lasciato in eredità la maggior parte delle opere incompiute e dei propri disegni, quasi a volerli dotare di uno strumentario utile a proseguire l’attività, avvalendosi di sussidi già sperimentati e consolidati (12). Essi produssero infatti numerosissime riedizioni di opere precedenti e continuarono in quel lavoro di ricombinazione di moduli precostituiti a cui non rinunciarono nemmeno i fratelli di maggiore talento. L’episodio rappresentato si riferisce a un passo del Vangelo di Luca (10, 18-32) in cui si racconta di due sorelle che ospitano Gesù nella loro casa. Una, di nome Maria, si siede ai suoi piedi e lo ascolta parlare, l’altra (Marta) si dedica ai molti lavori che deve svolgere in casa. Marta si rivolge a Gesù per chiedergli di invitare la sorella ad aiutarla. Egli le risponde con un rimprovero per il suo affannarsi, che le impedisce di cogliere la parte migliore di quel momento e di tutta la sua vita: la parola, l’insegnamento del Signore. Il momento in cui Marta si rivolge a Gesù è rappresentato nella parte sinistra del dipinto, tutto il resto costituisce una interpretazione di ciò che Luca definisce «i molti servizi» in cui era impegnata la sorella più attiva: Jacopo (inventore della composizione originaria) immagina una cucina in cui si sta preparando un pasto: un uomo taglia del salame, una donna segue la cottura di una minestra sul camino, un giovane toglie dei pesci da una cesta. A terra sono pronte per essere cucinate delle anatre morte e spennate. Secondo una procedura divenuta tipica dei Bassano la raffigurazione di un episodio biblico diviene il pretesto per dipingere una complessa scena di genere destinata a una committenza laica.

Ivan Cantoni

 

NOTE

1 Sulle donazioni che hanno costruito nel tempo il patrimonio artistico della Biblioteca Maldotti è possibile consultare la sezione “Quadreria” del sito (http://www.bibliotecamaldotti.it/patrimonio/quadreria/). È di prossima pubblicazione il saggio di Ivan Cantoni La quadreria della Biblioteca Maldotti di Guastalla: origini e storia, che uscirà in un volume miscellaneo in occasione del bicentenario della biblioteca.

2 Il dipinto della Sarah Campbell Blaffer Foundation è pubblicato e schedato nel catalogo della mostra Gonzaga. La Celeste Galeria, a cura di Raffaella Morselli, Ginevra-Milano, Skira, 2002, pp. 104 e 182.

3 Cfr. Ivi, p. 182 e Edoardo Arslan, I Bassano, Milano, Ceschina, 1960, p. 218.

4 Cfr. Ivi, p. 288.

5 Cfr. I Gonzaga. La Celeste Galeria, p. 182 e Edoardo Arslan, I Bassano, pp. 218, 345 e 226.

6 Cfr. Edoardo Arslan, I Bassano, pp. 126-128. Sul metodo di lavoro e sulla storia della bottega dei Bassano si veda inoltre: Giovanni Battista Verci, Notizie intorno alla Vita, e alle Opere de’ Pittori, Scultori della Città di Bassano, e Intagliatori, Venezia, Giovanni Gatti, 1775, pp. 55-56; Livia Alberton e Vinco Da Sesso, Jacopo Bassano. I Dal Ponte: una dinastia di Pittori, Bassano del Grappa, Ghedina e Tassotti  Editori, 1992, pp. 8-15.

7 Una immagine di buona definizione del dipinto è scaricabile dal sito del museo (https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/lazaro-y-el-rico-epulon/449efb74-3344-4d5d-97ffe6fb985dedb9?searchid=61277a63-bc1d-b66b-1307-5d6819a5aee0).

8 Cfr. Edoardo Arslan, I Bassano,  fig. 222 e pag. 190.

9 Il dipinto è visibile nel sito web della Fondazione Sant’Elia di Palermo, dove è stato esposto nella mostra Capolavori che si incontrano. Bellini, Caravaggio, Tiepolo e i maestri della Pittura dal ‘400 al ‘700 nella Collezione Banca Popolare di Vicenza (Palazzo Sant’Elia, Palermo, 4 ottobre 2015 – 6 gennaio 2016). http://www.fondazionesantelia.it/mostre/capolavori-che-si-incontrano/itemid-206.html.

10 Cfr. Edoardo Arslan, I Bassano,  fig. 271.

11 Cfr. Ivi, pp. 190-191, 239, 277. Inoltre: Livia Alberton e Vinco Da Sesso, Jacopo Bassano. I Dal Ponte: una dinastia di Pittori, pp. 13-15.

12 Cfr. ivi, p. 14 e 101-102.

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