CHIESA, VIA DELL’UMANESIMO CRISTIANO In Montini Arcivescovo

CHIESA, VIA DELL’UMANESIMO CRISTIANO
In Montini Arcivescovo

Premesse

Ambito

E’ bene chiarire subito in partenza l’ambito del tema e della figura di riferimento per una sua lettura. Anzitutto il riferimento è a GB Montini come Arcivescovo di Milano. E’ spontaneo collegare, quasi sovrapporre subito Montini a Paolo VI e leggere l’episcopato milanese quasi come un “passaggio” obbligato al pontificato. Così ne parla ad es. J. Guitton nei suoi “Dialoghi con Paolo VI”.

Pur nella continuità biografica e identità vocazionale della persona Montini lungo l’intera esistenza, il periodo di Arcivescovo di Milano, dopo il servizio presso la S. Sede a Roma, e prima dello stesso pontificato non è la tappa milanese di un iter precostituito dalla nascita a Concesio alla successione apostolica (1 – G. COLOMBO e G. RUMI, in GB Montini e il Vaticano II, Istituto Paolo VI, Brescia 1985, pp 11-16 e 17-33).

Metodo

L’intento qui è di collocare anche la figura di un Papa nella sua storia. Studiare l’opera di un Papa come Paolo VI non è facile, perché un Papa – è stato detto – se per un verso è il personaggio più esposto del mondo, per un altro rimane spesso una delle presenze più misteriose, più soggette all’equivoco, non concedendo così facilmente il “segreto” della propria anima e spiritualità.

Bisogna ringraziare l’Istituto Paolo VI di Brescia che ha permesso di promuovere colloqui internazionali sui diversi temi di interesse montiniano, ma prima ancora di curare l’edizione critica delle fonti del suo pensiero e azione. Per il periodo dell’episcopato milanese determinanti sono i 3 volumi di “Discorsi e scritti milanesi” corredati di “Indici” e di una “Cronologia” a cura di G. COLOMBO, Preside della Facoltà di Milano e G. ADORNATO, collaboratrice nello stesso processo di beatificazione. Il ritorno alle fonti ci permette così di “lasciar parlare il Santo”, prima che di darne noi una interpretazione.

Il tema

“Chiesa, via dell’umanesimo cristiano in Montini Arcivescovo” è studiare Montini su di un tema centrale per la sua azione e il suo pensiero. Ancora Arcivescovo di Milano, da poco eletto Cardinale da Giovanni XXIII, in una lettera al clero “Pensiamo al Concilio” invitava a guardare alla Chiesa come al tema nodale da affrontare in Concilio tra le diverse immagini del dibattito ecclesiologico: Chiesa dei poveri, aperta al sociale, Chiesa dei laici o della gerarchia, Chiesa della tradizione o della riforma.

Quale l’immagine di Chiesa in Montini Arcivescovo? “Un processo di incalcolabile portata è iniziato: il risveglio della Chiesa nelle anime. Ciò va inteso nel giusto significato. Presente la Chiesa è sempre stata ed ha avuto in ogni tempo valore decisivo per il credente. Egli ne accettava la dottrina e ne seguiva i precetti” scriveva R. Guardini agli inizi del secolo XX (2 – R. GUARDINI, La realtà della Chiesa, Morcelliana, Brescia 1967, orig. Tedesco 1955). Guardini da buon osservatore della realtà nei suoi cambiamenti culturali invitava a osservare la realtà stessa della Chiesa dal nuovo punto di vista dell’età moderna, di via verso l’umanesimo. E’ il punto di vista assunto in partenza da Montini.

1- Immagine di Chiesa e progetto pastorale

Dobbiamo ritornare ai primi passi dell’episcopato milanese di Montini. Se il buon giorno si vede dal mattino, c’è un passaggio nel discorso d’ingresso che merita un’attenzione: “Abbiamo bisogno d’un cristianesimo vero, adeguato al tempo moderno. Problema che possiamo anche meglio formulare così: come possiamo noi adeguare la nostra vita moderna, con tutte le sue esigenze, purché sane e legittime, con un cristianesimo autentico?” (3– E’ giunta un’ora nuova, DSM I,61).

a. Il progetto pastorale

Si rivela qui il progetto dell’intero episcopato montiniano che ne segnerà le tappe del cammino: quello di una conoscenza più diretta ed approfondita del dialogo pastorale, che vede in Milano un campo privilegiato, non unico, per saggiarne gli aspetti: quello della fedeltà alla tradizione cattolica della Chiesa ambrosiana, e quello della necessità che l’eredità dei SS. Ambrogio e Carlo si rinnovi per un umanesimo buono della vita moderna.

E ne giustifica il progetto a partire dalla coscienza della Chiesa chiamata a trovare in se stessa, nel suo patrimonio spirituale, nella gioia e fierezza del credere la ragione e la forza della sua azione pastorale e del suo dialogo con la vita moderna. Si tratta di un “patrimonio cristiano” immenso: di verità e di storia, di arte e di costume, di educazione e di civiltà, di libertà e di servizio ereditato da venti secoli di cristianesimo e che occorre tramandare alle generazioni future.

E qui la giustificazione del Pastore si fa puntuale e critica nei confronti di un altro umanesimo profano che minaccia la tradizione cattolica di restringimento e di assedio, sottraendole la sua benefica irradiazione nelle varie manifestazioni sociali e morali: con le barriere del laicismo, con il soffocamento e l’inaridimento da parte dell’indifferenza religiosa, con l’esplosione cieca e fanatica dell’ateismo moderno.

E tuttavia la vita cristiana non è chiusa nel recinto protetto delle istituzioni ecclesiastiche, ma si gioca nel campo aperto della storia degli uomini, dove può e deve esplicare tutte le proprie potenzialità. Certo, la complessità e la criticità del momento storico sono una provocazione insistente per la proposta cristiana e l’azione pastorale, ma la Chiesa non può esimersi dal raccogliere la sfida. (4 – B. SEVESO, . L’esistenza pastorale dell’Arcivescovo Montini, Ambrosius, 65, 1989, 22-33).

Indubbiamente il progetto di fedeltà alla tradizione cattolica e di dialogo con l’umanesimo buono della vita moderna è la chiave di volta di tutta la azione pastorale del Vescovo, e ne costituisce il criterio interpretativo, radicato nella sua stessa esperienza di vita. E tuttavia la fedeltà alla sua vocazione cattolica diventa impegno programmatico per tutta la sua Chiesa già dall’inizio del suo servizio episcopale e lungo il suo ministero pastorale.

b. I soggetti del progetto

Chiamato a Roma per il secondo Congresso mondiale dell’Apostolato dei laici dal 5 al 13 ottobre 1957 sul tema “Missione e mistero della Chiesa” l’Arcivescovo Montini nella sua prolusione, esordisce: “Ben a ragione chi ha formulato questo tema per il vostro Congresso ha sentito il bisogno di mettere, accanto alla parola , l’altra parola . La missione della Chiesa nasce, opera, e cammina in virtù del mistero che la genera, la vivifica, la prepara all’estrema risoluzione escatologica” (5 – Missione e mistero della Chiesa, DSM I, 1662- 1683).

Ritornano qui i temi dell’origine della missione da Cristo, dal suo mandato agli Apostoli come missione religiosa, il mondo come campo della missione, in particolare affidato ai laici in contatto con il mondo contemporaneo. “Questo aspetto della missione riguarda direttamente l’apostolato dei laici, non foss’altro perché essi vivono nel mondo a cui si vuole portare la missione della Chiesa. Essi ne hanno esperienza maggiore che non gli ecclesiastici. Del contatto con la missione della Chiesa col mondo essi sono i testimoni più prossimi, ne vedono e ne vivono i fenomeni” (ivi 1678-1680).

All’apostolato dei laici, si aprono per Montini i campi dello studio di sociologia e statistica, dell’ambiente e del costume, di letterature e di legislazione, di pedagogia e di arte. Si tratta di contributi non secondari in un mondo in evoluzione per l’introduzione di novità e di riforme nel diritto e costume ecclesiastico che spetta al governo della Chiesa determinare nei propri tempi e i modi. Più ancora originale contributo alla promozione del laico, il “gigante addormentato” della stagione conciliare della vita della Chiesa, è la motivazione per tenere aperto il campo dell’apostolato.

Si tratta della distinzione tra sacro e profano: “La distinzione tra sacro e profano merita uno studio particolare ed attento. Questo problema si presta a malintesi gravi e nocivi e può avere facilmente soluzioni sbagliate; le due estreme in forma evidente: la separazione assoluta del sacro dal profano può addirittura paralizzare o neutralizzare la missione della Chiesa…come la confusione di interessi e di costumi sacri con interessi e costumi profani è ripugnante contraddizione al carattere trascendente della religione e alla purezza del messaggio cristiano” (ivi 1679-1680).

In conclusione, né la netta separazione di stampo laicista che così neutralizza la missione della Chiesa, né la confusione di stampo mondano che contraddice il carattere trascendente del messaggio cristiano interpretano adeguatamente la missione della Chiesa. Come allora evitare i due estremi: il laicismo della separazione Chiesa e mondo e la mondanizzazione della Chiesa? E’ sorprendente come Montini si muova in un campo di tensioni tra visioni contrastanti del rapporto tra Chiesa e società e tendenze culturali all’interno dello stesso mondo cattolico con la saggezza e prudenza, e al tempo stesso con l’audacia coraggiosa dell’uomo di governo della Chiesa.

c. La via dell’umanesimo integrale

E la proposta è quella di una Chiesa, via dell’umanesimo integrale: “La missione della Chiesa è di portare il sacro in una determinata relazione con il profano in modo che il sacro non sia contaminato, ma comunicato, e il profano non sia alterato, ma santificato: è il mistero dell’Incarnazione, di Dio fatto uomo che continua. Facile a dirsi, difficilissimo ad operarsi…Gli studi a proposito dell’umanesimo cristiano, che si vanno facendo da filosofi e da studiosi cattolici, possono dare buoni contributi, sia per il nostro pensiero, che per la nostra azione: la materia è delicata e di natura complessa e mutevole: va studiata con prudenza e competenza” (ivi 1679-1680).

E’ Montini stesso che in nota al testo della conferenza appunta il riferimento al filosofo J. Maritain, difendendolo da alcune eccessive critiche al suo riguardo. Si rispecchia qui nei suoi termini espliciti il tema montiniano dell’umanesimo cristiano, come il filo rosso che lega il progetto di immagine di Chiesa e del suo rapporto con la modernità nel pensiero e nell’azione. E nello stesso tempo si riconduce alla sua radice cristologica il tema della missione della Chiesa, continuazione del Mistero dell’Incarnazione, del Dio fatto uomo, e perciò criterio per orientarne il pensiero e l’azione. “Facile a dirsi, difficilissimo ad operarsi”, ripetiamo noi.
Era questo l’invito di J. Maritain: “Se una volta bastavano cinque prove dell’esistenza di Dio, ora ne occorre una, la più importante: la testimonianza della comunità dei credenti in Dio. Il fatto che la società in occidente abbia bisogno dell’opera della Chiesa è certamente una grande occasione per l’evangelizzazione, ma occorre fare chiarezza sul procedere. C’è una condizione di base, che è ovvia ma crediamo sia sempre saggio richiamare. Non si può parlare di influsso del Cristianesimo sulla società, se il Cristianesimo non è vissuto e identificato.

La necessità di un progetto nasce proprio da qui: dal rischio della poca incisività dell’annuncio della Chiesa, dalla scarsa capacità di proporre il Vangelo e la vita cristiana in modo convincente e corretto. Questo è un problema di metodo nella azione pastorale. Tanta pastorale della comunità nasce come risposta alle emergenze della società. Questo procedere è certamente creativo e genera occasioni di prossimità all’uomo concreto – nella carità, sanità, assistenza, educazione -, ma non è automaticamente “evangelizzante”. Questo motivo di necessità ha a che fare con il fine e la natura stessa della Chiesa che è l’evangelizzazione.

2 – La missione cittadina e l’esperienza del progetto

Sulla missione straordinaria cittadina di Milano promossa dall’Arcivescovo per l’Avvento del 1957 esiste già una ricca e documentata letteratura che ne interpreta origini e contesti, significato e scopi, attese e frutti sia dal punto di vista di collocazione storica, sia di significato ecclesiale e di esperienza pastorale, che qui assumiamo solo nella prospettiva della tematica del capitolo “La Chiesa, via dell’umanesimo cristiano” come progetto pastorale di pensiero e di azione dell’episcopato montiniano, e di esperienza straordinaria per l’attuazione del progetto stesso. A questo scopo amiamo anzitutto lasciar parlare Montini stesso.

a. Il tema “Dio Padre”

Presentando all’istituto Leone XIII l’11 giugno 1957 il “significato e gli scopi della missione” ai futuri predicatori della Missione cittadina e in particolare alla commissione di studio che aveva lo scopo di elaborare lo schema del direttorio di predicazione e di scegliere i predicatori, l’Arcivescovo così affronta il cuore della missione.

“Abbiamo fissato il punto focale della predicazione sopra l’argomento che voi sapete: Dio Padre. Lo abbiamo scelto prima di tutto perché è stato il tema di Cristo. Se gli Apostoli hanno predicato Cristo, Egli però ha predicato il Padre. Il Padre, il Regno dei cieli. Sant’Agostino c’insegna: (Tract in Joh. 74,1) (6 – Significato e scopi della missione, DSM I 1476-1490).

Milano, città industriale, con un afflusso quotidiano di più di mezzo milione di lavoratori che vengono dal di fuori e dalla provincia e che la sera ritornano alle loro case, con ogni anno dalle dieci alle ventimila persone in cerca di lavoro dal sud o dal Veneto, stava vivendo il passaggio dalla civiltà contadina alla città moderna. Qui prima che nelle parrocchie di campagna la Chiesa sperimenta la crisi della società cristiana, con la defezione delle masse a partire dalle classi colte, fino alla classe operaia, anche se contenuta da una certa pratica religiosa borghese, clientelare.

In un contesto di scristianizzazione la via della predicazione può essere abilitata anzitutto da una parola che fa presa sulle anime, capace di parlare di Dio ai moderni, di andare al centro del mistero di Dio e al cuore della sua paternità. E’ una predicazione che va per la via dell’essenziale, privilegiando la ricerca dell’essenziale secondo lo stile della nostra età moderna: c’è in arte, nella scienza, un po’ dappertutto.

“Mi dicevano dei fedeli: . Abbiamo infatti pensato a tutti i Santi, a tutte le virtù, a tutte le devozioni, a tutte le novene, a tutte le feste, ma non siamo forse mai accorsi a questo fulcro centrale, da cui tutto scaturisce e a cui tutto confluisce” (ivi 1486).

b. La predicazione come via

In una città segnata dal processo di scritianizzazione la missione chiedeva un nuovo metodo di approccio: “Ci siamo un poco distaccati dallo schema consueto, e quelli che hanno già predicato le Missioni lo sanno. Lo schema consueto è l’enunciato di fortissime verità religiose e morali che devono produrre quasi uno choc spirituale sull’uditore, il quale corre a prostrarsi pentito davanti al confessore, dopo venti o trent’anni che non faceva Pasqua e si converte. Non abbiamo scelto questo metodo consueto” (ivi 1481-1483). La predicazione resta , ma nuova è la via di una Chiesa in missione, non più nella sua forma di esortazione morale. Di invito e ritorno alla vita sacramentale, come nella tradizionale esperienza delle missioni al popolo parrocchiali.

C’è bisogno di una predicazione che interpella il cuore dell’esistenza umana, il dramma del bene e del male, di gioia e di dolore, di vita e di morte, di speranza e di disperazione. Sono questi i temi che attraverso la letteratura, il cinema, il teatro, plasmano la cultura moderna dell’umano, e che la gente respira come l’aria. E chiede uno stile di predicazione non offensivo, né ironico, né polemico, ma rispettoso, testimoniale, forte, anche audace:

“Credere di diventare insinuanti cercando di rendere la verità levigata, equivoca, per renderla forse più accettabile, è un errore. Noi siamo forti della verità e dobbiamo esserlo nella parola. Saremo testimoni. Potremo essere interrogati. Risponderemo:

Indire la missione era un “dovere” canonico per il parroco ogni dieci anni come evento straordinario di pastorale ordinaria della vita parrocchiale. Come tale è da presumere il significato della richiesta di missione straordinaria fatta dagli stessi parroci della città al nuovo Arcivescovo. La “novità” rispetto alla forma tradizionale di missione era di progettarla come evento che potesse rinnovare la stessa pastorale ordinaria dell’insieme delle 220 parrocchie della città come nuovo inizio, con nuovi obiettivi e metodi, da lasciare in mano all’Arcivescovo.

Novità, se mai, era tenere aperto il colloquio vitale tra Chiesa e mondo, al di là delle distanze storiche sopraggiunte con la modernità; novità l’atto di coraggio evangelico del Vescovo che getta le reti al largo; novità i destinatari della Missione: i lontani come i primi nell’intenzione, e anche i vicini nell’attuazione, cioè i fedeli praticanti abituali della parrocchia. In realtà, al di là della distinzione teorica tra vicini e lontani, l’interlocutore della Missione era l’uomo moderno e l’influsso della cultura moderna anche sui vicini della parrocchia, reso così terreno ugualmente bisognoso di semina della Parola.

c. Chiesa in “stato di missione”

Si tratta con la Missione di motivare un cristianesimo vero, adeguato al tempo moderno, attento ai lontani, ma insieme di far crescere i cosiddetti vicini, non di ricuperare un cristianesimo perduto, contrastando uno svuotamento interiore del cattolicesimo italiano. L’intento era così di ristrutturare la stessa istituzione parrocchiale e di rimotivare la vocazione degli stessi laici alla luce del loro compito apostolico verso tutti, e di testimonianza cristiana come parte attiva della società.

Il progetto chiedeva un’immagine di parrocchia non isola felice chiusa in se stessa, ma aperta alle altre, coordinata con le vicine come unico centro di predicazione, non necessariamente in parrocchia, in quanto il contesto cittadino della missione diventata più favorevole anche alla presenza dei lontani, coinvolgendo anche in ambienti laici le diverse categorie: operai, imprenditori, professionisti, commercianti, panettieri, albergatori, taxisti… L’Arcivescovo ne divenne il primo missionario fino a essere chiamayo “moto perpetuo” della Missione.

Innegabile la risonanza immediata che la missione straordinaria di Milano ebbe sulla città e diocesi e sulla stessa Chiesa italiana. Quali i frutti della missione? Cosa restava della missione straordinaria? Alla fine, riassumendo la sua espreienza lunga e sfibrante, confidò all’allora Mons. Giovanni Colombo, Rettore dei Seminari e poi suo successore: “Siamo una minoranza!”. Più che angoscia nella sua voce c’era l’ansia di non avere ancora trovato le vie efficaci per risvegliare le forze cattoliche dal loro torpore (8 – G. COLOMBO, Cultura e fisionomia spirituale in paolo VI, Morcelliana, Brescia 1983, pp.67-86).

La novità, se di novità si può parlare, era l’obiettivo di risvegliare il senso religioso dei fedeli ambrosiani, con una azione riformatrice degli stessi strumenti tradizionali di pastorale: missione come “azione rinnovatrice senza riforme” (9 – A. GIOVAGNOLI, La Chiesa di Milano in stato di missione, in “Il cristiano laico, l’eredità dell’Arcivescovo Montini, Morcelliana, Brescia 2004, 177-192). Salvo migliore giudizio, ritengo che, terminata la missione straordinaria come esperienza, restava il progetto di “Chiesa in stato di missione”. E’ questa l’immagine di Chiesa, che l’Arcivescovo Montini, eletto primo della lista dei Cardinali da Papa Giovanni XXIII il 15 dicembre 1958, sviluppa nel discorso inaugurale della missione cittadina di Firenze il 10 novembre 1960:

“La Chiesa è un mistero. Questa parola solleva una duplice difficoltà, a cui dobbiamo la spiegazione delle nostre perplessità e confusioni a riguardo della Chiesa. Dico la difficoltà di uno studio che intenda penetrare nella natura vera di questo grande organismo; uno studio che non rifugga da uno sforzo di informazione e di pensiero che non sia privo di qualche palpito cordiale di riverenza, di riconoscenza e di attesa. E dico la difficoltà, misteriosa essa stessa, di una grazia che ci apra gli occhi e ci dia il dono di questa visione meravigliosa “ (10 – Un’idea di Chiesa, DSM II, 3888-3907. La Missione di Firenze aveva come tema “La Chiesa madre nostra”, più precisamente il titolo dell’intervento di Montini “Cià che la Chiesa è e non è”, ripreso dall’Osservatore Romano con il titolo “Il volto della Chiesa per l’uomo moderno”).

Alla fine, al di là della missione straordinaria, opera incompiuta di una Chiesa in cammino nella storia, resta l’opera della missione via della Chiesa nel mondo: a partire dalle immagini montiniane di Chiesa come mistero, come maestra e madre, che già prefigurano un loro contributo, prezioso e personale, al Concilio. Prima ancora restano alcune priorità pastorali – liturgia, formazione dei laici, comunicazione e cultura (11 – G. ADORNATO, L’Arcivescovo Montini, nuove prospettive di ricerca, in “Il Cristiano laico, cit. pp. 29-74).

3 – Teologia e cultura

Ad allargare il campo della missione e rinnovare l’immagine di Chiesa nella vita della società, al di là della sua vita interna liturgica e spirituale, è il rapporto che Montini Arcivescovo affronta con il mondo della cultura, le istituzioni, le persone, le scelte. Arrivato a Milano sotto la pioggia il 6 gennaio 1955, poco dopo viene raggiunto da un vagone carico di ben 90 casse di libri. J. Guitton, l’amico accademico di Francia, al “Colloquio di Gazzada” del 1983 paragonava Montini all’ape che non si posa si tutti i fiori del giardino, ma sceglie quelli che servono al suo ideale di cultura (11 – J. GUITTON, Temoignage, “Paolo VI e la cultura”, Morcelliana, Brescia 1983, 145-151).

a. Cultura in senso umanistico e moderno

Cultura è termine assai complesso e vario nei suoi significati. Cultura è stato identificato anzitutto come “uomo di cultura”, cioè attributo di un individuo, di una personalità emergente rispetto all’uomo comune. E’ questa la nozione “umanistica” di cultura, per così dire classica a definire la quale entrano diverse componenti intellettuali, morali, spirituali, che fanno dell’uomo colto una persona in grado di dare un giudizio di valore sulle questioni che si pongono. Ma cultura nel suo significato più moderno si identifica come il campo delle “scienze dell’uomo”, e cioè a un tipo di cultura più rivolta agli aspetti tecnici, pragmatici, descrittivi, e meno invece sugli aspetti morali, valoriali.

Come si vede la nozione più moderna di cultura è esattamente all’opposto di quella tradizionale, classica: quella moderna ha la tendenza a prescindere dalla visione globale dell’uomo colto nelle sue diverse componenti intellettuali, morali e spirituali, sulla quale faceva leva la nozione classica di cultura. E’ in questo processo di cambiamento culturale profondo, quasi improvviso, con tutti i problemi e le crisi che ha comportato, che possiamo collocare l’opera e la personalità stessa di Montini Arcivescovo.

b. Cultura come dialogo

A dare subito spazio all’incontro dell’Arcivescovo piace ricordare l’intuizione che ha portato a istituire a Villa Cagnola di Gazzada un cenacolo di studi, dove quasi psicologicamente favorire il dialogo la Chiesa e il mondo della cultura. Già incontrando nell’agosto del 1955 successivo al suo ingresso a Milano il movimento dei laureati di Azione Cattolica per le loro settimane culturali, sollecitava un progetto e un metodo innovativi.

“Una risposta complementare è data, a me sembra, dalla natura e dalle finalità di queste settimane, quali furono concepite all’origine, e quali tuttora rimangono. Sono infatti queste settimane l’incontro tra due culture, l’ecclesiastica e la profana, quella religiosa e quella professionale, quasi a far da ponte fra le due, in modo che l’una dia conto di sé, nei termini più autentici, l’altra dica quali simpatie e quali antipatie, quali propinquità e quali distanze, quali consonanze e quali bisogni abbia rispetto alla prima” (12 – Dilexit Ecclesiam, DSM I,371-375).

Montini chiede qui alla Chiesa, a partire dai suoi laici più impegnati, di tenere aperto il dialogo tra la società moderna evoluta autonomamente e la Chiesa, con la sua esperienza storica di socialità, ed essa stessa parte attiva della società. L’invito che ne consegue è il risveglio del sensus ecclesiae, della coscienza di appartenere a questa società umana da una parte, perché composta da uomini, e divina dall’altra, perché fondata da Cristo: tema di studio promettente per la nuova e felice pienezza di vita cristiana.

E’ noto che l’intuizione montiniana di un’immagine di Chiesa amante dello studio e amica della cultura avanzata dall’Arcivescovo sarà alla radice del progetto culturale a Gazzada, sede di un istituto, dove lavorare a servizio della Chiesa e dei vescovi lombardi per un duplice dialogo: il dialogo tra cultura cattolica e cultura laica, e , analogamente, tra ecclesiastici e laici. Così si esprimeva Mons. Carlo Colombo in occasione dell’inaugurazione dell’istituto il 2 giugno 1960 alla presenza dell’arcivescovo card. Montini, propiziando il metodo di dialogo necessario tra i rappresentanti della cultura profana e quelli della cultura religiosa.

“Quando uomini di formazione molto diversa si conoscono e si incontrano più direttamente di quanto avviene attraverso i libri, è più facile che si capiscano e si stimino: nell’incontro personale l’uomo prevale sul tecnico della ragione come principio di conoscenza. Ed è a questo approfondimento del fattore umano, che nasce da una profonda reciproca conoscenza, che dobbiamo dare una maggiore attenzione, cura e impegno nel mondo d’oggi, persuasi come tutti siamo dell’immensità del sapere, del pericolo intellettuale ed umano che proviene dal chiudersi in una specializzazione, che, ignorando altri problemi e altri metodi di ricerca, finisce per divenire cieca dinanzi a settori fondamentali della realtà (13 – Carlo Colombo e Villa Cagnola: l’eredità di una teologia che si fa cultura: Sc Catt 139, 2011, 653-676, in part. 657-658).

c. Cultura come “carità dell’intelligenza”

Chiamato al ministero episcopale Montini non ha cambiato la sua figura umanistica, ma ha solo allargato l’orizzonte e il campo di azione. Il suo impegno culturale come via di perfezione spirituale e come intento pedagogico resta, confondendosi quasi con la missione stessa della Chiesa verso il mondo contemporaneo e quindi la sua stessa carità pastorale.
L’uomo contemporaneo, a cui annunciare il Vangelo di salvezza, chi è? E’ l’uomo ottimisticamente cosciente di sé e delle proprie forse? Oppure è l’uomo angosciosamente disperato di sé e incamminato verso esiti nihilistici? Si intravede qui una esigenza di conoscenza e di chiarificazione della condizione dell’uomo contemporaneo, per il quale il contributo della cultura non è marginale e secondario.

Non meno importante è l’appello montiniano alla cultura, quando è attuata in senso umanistico nelle varie voci in cui essa si esprime – letteratura, arte, musica…- come via di evangelizzazione che si sviluppa “dall’interno” dell’uomo. Si vuole una evangelizzazione che non sa né di imposizione né di condanna dell’umano, bensì di interiore corrispondenza e promozione.
Ciò evidentemente non significa né la riduzione della evangelizzazione a cultura – irrinunciabile il primato cristologico – né la supina acquiescenza ad ogni opinione culturale, di radice ideologica. L’assunzione della cultura a via di evangelizzazione mette in atto l’aspetto per cui la Chiesa è chiamata ad aprirsi verso ogni cultura: prospettiva particolarmente rilevante in un’epoca in cui la storia vede l’accesso di altri popoli portatori di altre civiltà e culture.

Mentre scrivo queste considerazioni ricevo l’invito del Comitato preparatorio del 5° Convegno Ecclesiale nazionale di Firenze sul tema: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” per il prossimo novembre 2015. “Oggi l’umanesimo cristiano sembra essere soltanto una variante minoritaria tra i numerosi e differenti umanesimi che preferiscono non richiamarsi ad alcuna ispirazione evangelica, secondo un processo iniziato con la messa in discussione del cristianesimo quale principio sintetico dell’umanesimo. Per questo, pur nella consapevolezza della natura plurale dell’odierna società, uno degli scopi del Convegno è quello di proporre alla libertà dell’uomo contemporaneo la persona di Gesù Cristo, e l’esperienza cristiana quali fattori decisivi di un nuovo umanesimo”. Toh, chi si rivede! Paolo VI, Montini Arcivescovo!

Conclusione

Papa Francesco nella sua “Esortazione Apostolica Evangelii gaudium” parlando di alcune sfide del mondo attuale testimonia nuove forme di umanesimo con alcuni “SI” e “NO”: NO ad una economia dell’esclusione; NO alla nuova idolatria del denaro che governa invece che servire; NO all’inequità che genera violenza…SI alla sfida di una spiritualità missionaria; NO all’accidia egoista; NO al pessimismo sterile; SI alle relazioni nuove generate da Gesù Cristo; NO alla mondanità spirituale; (14 – Evangelii gaudium 53-60 e 78-101).

Già Paolo VI, che una sciocca propaganda, fin quasi all’ultimo dei suoi giorni, ha chiamato “Papa del dubbio, amletico”, ha percorso una strada segnata da certi “SI” e “NO” inequivocabili: SI all’ecumenismo cristiano; SI alla salvezza aperta a tutti gli uomini; SI alla non violenza; SI ai diritti immutabili dell’uomo; NO alla contraccezione; SI alla vita umana fin dal suo concepimento…E’ notizia non ancora ufficiale, ma da voci autorevoli che, dopo il riconoscimento delle virtù eroiche, sia arrivato anche il miracolo a favorire ad accelerare l’esito positivo del processo di beatificazione.

+ Adriano Caprioli

Guastalla, 6 febbraio 2014, intervento alla Biblioteca Maldotti e Associazione maldottina